L’effetto serra, l’aumento delle temperature, lo scioglimento dei ghiacci, il buco dell’ozono, la povertà, le carestie, le malattie, gli sprechi energetici, l’inquinamento, la crisi economica. E se la soluzione a tutti i principali problemi che affliggono la Terra del ventunesimo secolo consistesse nel rimpicciolire l’essere umano che ivi abita? Le ultime, sconvolgenti scoperte scientifiche provenienti dalla verdissima Norvegia aprono le porte a un’inaspettata quanto originale evoluzione dell’essere umano: il cosiddetto Downsizing. Miniaturizzarsi fino a diventare alti una decina di centimetri, come un esercito di lillipuziani pronto a salvare il mondo. I vantaggi? Infiniti: consumo energetico quasi nullo, spese minime (chi non andrebbe subito a vivere in un mondo in cui un set di gioielli e diamanti costa solo 80 dollari?), i migliori dottori, le migliori scuole, e soprattutto la meravigliosa sensazione d’essere davvero d’aiuto per il proprio pianeta. La miniaturizzazione è il futuro della storia dell’umanità, un futuro di cui i coniugi Paul e Audrey Safranek (Matt Damon e Kristen Wiig) vogliono fare parte al più presto. Per loro si prospetta una vita piena di positività e armonia… finché un imprevisto non pone fine ai sogni del protagonista. E di tutti gli spettatori.
Satira sociale? Commedia? Dramma fantascientifico? Downsizing non è nessuna di queste cose. Dopo i primi, interessantissimi tre quarti d’ora di pura meraviglia, come un’utopica e solare cartolina di un what if idilliaco in cui il mondo può essere ancora salvato da noi stessi, in cui il cambiamento viene visto come l’unica alternativa possibile e positiva (e persino divertente!), supportata da una sognante colonna sonora di Rolfe Kent che azzecca appieno il tono iniziale della storia, il film si perde in buonismi ingiustificati e inutili, sviluppi narrativi noiosissimi, buchi di trama giganteschi e personaggi decisamente poco approfonditi. Dopo la miniaturizzazione, il protagonista vaga senza alcuna meta, sopravvivendo alla routine di ogni giorno, evitando accuratamente qualsiasi spunto satirico e riflessione sociale, fino al punto di dimenticarsi (e dimenticarci) di vivere in un mondo minuscolo ma dalle enormi potenzialità. Non è il solo: è come se lo stesso Alexander Payne, il regista, avesse deliberatamente accantonato la scoperta che dà il titolo al film, preferendo ad essa una storia più politically correct possibile, innocua e blanda, inserendo a forza una love story ripiena di umorismo di basso, bassissimo livello. Anche il cast a supporto di Matt Damon (Christoph Waltz e Hong Chau in primis), che di solito offre performance di tutto rispetto, non fa altro che far sprofondare ancora più nel baratro il film, con prestazioni dimenticabili o francamente insopportabili.
Tralasciando il simpatico cameo in Thor: Ragnarok, per Matt Damon il 2017 è stato un anno da dimenticare: se da una parte Suburbicon si è rivelato un film mediocre ma con una trama principale intrigante e solida, questo Downsizing è un enorme disastro. Invece di parlare di tutte le possibili implicazioni filosofiche, economiche, sociali o persino mediche che questa ingegnosa idea poteva comportare, Payne ha optato per uno sviluppo narrativo noioso e colmo di buchi di sceneggiatura importanti, sfiorando solo di sfuggita il tema della miniaturizzazione e rovinando quello che, se pensato un po’ più approfonditamente, sarebbe stato un piccolo grande universo.