In un periodo in cui tutti i cinema sono chiusi e le nuove uscite hanno un futuro incerto, in molti hanno optato per distribuire i film attraverso piattaforme a pagamento, dove si può scegliere se noleggiare il film o acquistarne una copia digitale. Tralasciando le numerose discussioni che ci sono state sui prezzi di questi “biglietti” metaforici, questo metodo ha permesso la visione di diversi film, film che probabilmente, soprattutto nelle produzioni più piccole, avrebbero avuto difficoltà ad uscire al cinema. Nella lista troviamo film come: L’uomo Invisibile, The Lighthouse e The Hunt, del quale parleremo in questa sede.

Il film, scritto da Damon Lindelof (famoso per essere co-creatore, sceneggiatore e produttore di Lost) e Nick Cuse, è l’adattamento cinematografico di un racconto del 1924 di Richard Connell: La partita più pericolosa. Il lungometraggio racconta di dodici individui che si risvegliano in un parco, all’interno di una enorme tenuta, senza sapere perché e senza conoscere nessuno.  Ben presto il gruppo si rende conto di non trovarsi lì per caso ma, anzi, di essere dentro ad un vero e proprio gioco che hanno poca probabilità di vincere essendo loro la carne da macello. Si tratta di un film che riesce ad intrattenere e a divertire grazie ad escamotage narrativi (come il “passaggio di testimone” a inizio film), ma anche grazie alla regia di Craig Zobel che, nonostante non presenti grandi virtuosismi, riesce comunque a mantenere un buon ritmo e a non annoiare.

Di certo si può facilmente riconoscere una somiglianza tra la trama di The Hunt e le molte altre che hanno preso ispirazione dallo stesso racconto di Connell ma, allo stesso tempo, guardando il film si può notare la forte contemporaneità della sua storia. The Hunt infatti offre un ottimo quadro, ovviamente in una visione orrorifica e satirica, della scena politica e sociale americana. L’opera è stata punto focale di un discorso di Donald Trump, il cui riferimento al film era più che evidente, generando un forte dibattito sulla sua uscita che la Universal ha usato a suo vantaggio per pubblicizzarlo. Era diventato il “film più discusso dell’anno” nonostante nessuno lo avesse ancora visto.

Il motivo di tanto scalpore si trova nella trama incentrata su una vera e propria guerra, cruda e violenta, tra i due modelli stereotipati dell’elettorato americano: l’èlite liberale, con tutta la loro ricchezza e un carattere sadico ben nascosto, e i sostenitori della destra, caratterizzati dall’essere ingenui, sempliciotti e talvolta anche stupidi, quelli che Hilary Clinton definì spregevoli esattamente come fanno i cacciatori nel film, in riferimento ai sostenitori di Donald Trump. Assistiamo quindi a questa lotta che inserisce al suo interno temi come l’omofobia e il razzismo ma che, più di tutto, vuole essere una chiara rappresentazione del dibattito politico che si può vedere in TV o a cui si può assistere, specialmente in questi ultimi anni, sui social. La critica sociale è sicuramente ben chiara all’interno del film, ma non per questo esso annoia, anzi: riesce a divertire in ogni suo aspetto e a regalare un’ora e mezza che non delude.