Colori vivaci e il profumo degli anni Novanta. Una DJ suona sulle ceneri della dittatura comunista, in rave party tra i monumenti di un passato ricordato con nostalgia, la nostra DJ, Velya, è diversa da tanti biellorussi.
Velya vuole la libertà di indossare parrucche blu, vestirsi con colori sgargianti e dedicare anima e corpo alla sua passione: la musica house. Non ha nulla che la trattenga a Minsk, lei sogna l’America, sogna Chicago – luogo natio della house – ed è disposta letteralmente a fare carte false per ottenere il visto d’espatrio.
Purtroppo, la carta falsa – che attesta un lavoro dirigenziale in una fabbrica di cristalli – può condannarla a rimanere per sempre in Bielorussia: il numero di telefono falso scritto sul certificato sarà infatti controllato.
Velya non vuole arrendersi, in gioco c’è il suo futuro, così parte alla ricerca di quel telefono che la porterà nel paesino di Khrustal (titolo originale del film che si traduce letteralmente in Cristallo), all’interno di una casa dove sono in atto i preparativi per un matrimonio.

La regista e co-sceneggiatrice Darya Zhuk ha pensato a Crystal Swan come storia di una possibilità, la vicenda di un’altra se stessa. Zhuk ha fatto quelle lunghe file per avere il visto, ha ascoltato storie diverse dalla sua, immaginando uno sviluppo alternativo, creando con Velya un alter ego opposto a se stessa: coraggiosa, sfacciata, pronta a tutto.
Alina Nasibullina interpreta con piena presenza fisica e di spirito un personaggio tra ironia e dramma, difficilmente simpatica, perché ladra, bugiarda, arrogante. Come la madre stessa di Velya rivelerà, la ragazza è stata una totale delusione a cui non riesce a voler bene. In parte orfana, in parte ripudiata (come la sua madre patria) Velya trova in quelle dure parole la spinta giusta per partire verso Khrustal.
Lontana da Minsk, a contatto con le sue necessità, in una realtà provinciale che le è stretta, comprendiamo la complessità della nostra protagonista. Più osserviamo il tessuto sociale in cui vive e più ne comprendiamo il desiderio di fuggire.
Le menzogne della nostra anti-eroina, la sua introversione, il bisogno di ascoltare musica house acquisiscono un senso. Tentare di aprirsi, essere onesta, è impossibile in un mondo che non comprende il bisogno di libertà.

Darya Zhuk è stata costretta nel proporre il film negli anni Novanta, ma di fatto Crystal Swan parla anche del presente del suo Paese, perché dal 1994 il Presidente “democratico” Aljaksandr Lukašėnka governa la Bielorussia.
Velya è un personaggio simbolico, senza tempo, può essere tolta dal suo contesto e trasferita, Velya è la versione antropomorfa di una società giovane che vuole cambiare, frustrata e sognatrice, in cerca di una speranza, di democrazia. Se in Biellorussia la democrazia è una farsa, Velya cerca inevitabilmente un luogo a cui appartenere, un luogo che coincida con la dimensione a cui appartiene il suo cuore: la musica.
Purtroppo il solo sognare la libertà ha un prezzo altissimo.
Khrustal diventa silenziosamente l’antitesi al viaggio di Velya.
Khrustal è una realtà vera (solo con un nome diverso), di un paese che produce cristalli, di poco valore, che in Europa diventano prodotti preziosi e venduti a caro prezzo. Velya scopre che il contante e le monete non esistono più lì, si paga in cristalli, la gente lavora sodo, gli uomini della famiglia del telefono (così la chiameremo, perché non ha nome e non importa) la notte pescano con esplosivi in un lago ormai spopolato da fauna marina.
I matrimoni sono gli eventi sociali che portano ad evadere dal grigiore della vita, ma ogni cittadino ha le sue ferite che sono le ferite della Bielorussia stessa. Ciò che rimane a queste persone è l’orgoglio nazionale che stringono a loro credendo sia valore, sia dovere, ripetendo le stesse cose che Velya sentiva da sua madre: “si deve restare nel proprio Paese”,  frase ripetuta come un mantra per poterci credere davvero, per non sognare altro, per accettare fame e povertà.
Velya, nonostante il suo carattere spigoloso, non giudica gli altri e ciò a cui sono legati, il punto di vista di Zhuk non si deve fraintendere: non c’è un giudizio sulle vite altrui e sulle tradizioni, la criticità al vetriolo è verso la chiusura, il rifiuto al cambiamento, l’assenza di democrazia. Velya è figlia del suo tempo e del suo cambiamento più che dell’identità nazionale, è una sognatrice – sì – ma è in cerca di qualcosa di solido.
La famiglia che Velya incontra a Khrustal è profondamente tradizionalista, burbera, presa dai preparativi nunziali e il futuro sposo Stepan (Ivan Mulin) è un ragazzo maschilista che non risparmia Velya da pregiudizi e disprezzo. Voler emigrare non è ben visto, è considerato un capriccio, così Velya viene chiamata e considerata una “puttana” in cerca di uomini formati dall’agio del capitalismo.
Tuttavia la semplicità e autenticità di quella famiglia ha un suo fascino, anche se non è il mondo di Velya, non è ciò che desidera, quei giorni riescono a scuotere qualcosa dentro di lei, una rinnovata determinazione si anima sotto quei vestiti colorati. Peccato che la sceneggiatura a quattro mani di Zhuk e Helga Landauer non voglia seguire i colori gioiosi che Velya indossa; per quanto il cinema sa essere fiaba, Crystal Swan diventa feroce con la sua protagonista quanto efferata è la critica che volge.

Galeotto fu il cigno di cristallo del titolo, cristallo onnipresente e silente; è luogo e non-luogo, è moneta di scambio e oggetto privo di valore. Il cristallo è il sentimento, la matrice, il catalizzatore, l’ordigno. Vende sogni, vende promesse, perché quel cigno è il Capitalismo (l’Occidente) che è emblema di molte cose, è utopia quanto entropia, ma nulla ha a che fare con la libertà.
Crystal Swan può sembrare nichilista, la sua critica potente scuote e non cerca simpatie, ma è un’opera che vuole credere nel futuro. C’è una speranza costante che la fotografia e la colonna sonora vogliono esaltare, riempendo scenografie misere e desolate, aggiungendo vita lì dove è sospesa, immobile. A volte basta poco per ricordare che gli uomini sono esseri liberi e possono cambiare il mondo, Velya per ricordarlo mette le cuffie e preme play.