Dal 2005 il genere western non è più emblema di machismo, violenza e avventura. I cowboy non sono più eroi con sfide al grilletto più veloce, ma uomini che devono fare i conti con il quotidiano e le proprie emozioni.
Thomas Savage e Annie Proulx dal fronte della letteratura hanno rivoluzionato il genere, disarmando i loro cowboy, mettendoli a nudo con le loro costipazioni emotive, in scenari e aridi e immensi, dove la solitudine e la malinconia evidenziano tensioni romantiche e depressioni latenti.
Proprio dal western di Savage la regista e sceneggiatrice di Lezioni di Piano, Jane Campion, prende ispirazione. A dodici anni da Bright Star, Campion traspone in lungometraggio il romanzo Il Potere del Cane del 1967, adattandolo perfettamente alla sensibilità contemporanea senza significativi interventi.

Ambientato nel Montana del 1925, Il Potere del Cane segue la vicenda di quattro personaggi che si toccano, scontrano, infastidiscono e fraintendono.
Ricchi proprietari di un ranch, i fratelli Phil (Benedict Cumberbatch) e George Burbank (Jesse Plemons) durante la transumanza si fermano per una sera in una locanda, gestita dalla vedova Rose Gordon (Kirsten Dunst), aiutata dal figlio Peter (Kodi Smit-McPhee). Dei fiori di carta creati da Peter per decorare i tavoli, assieme ai suoi modi cortesi, irritano Phil e gli altri commensali. I fiori vengono bruciati e commenti rudi attaccano una natura effeminata per cui Phil manifesta disprezzo, allontanando il ragazzo e ferendo i sentimenti della vedova. George – uomo gentile, opposto al fratello – si reca da Rose per saldare il conto a fine serata e, trovando la donna in lacrime, la consola con gesti e parole gentili che Rose non riceveva da tanto tempo. La simpatia tra George e Rose evolve velocemente in un sentimento romantico, al punto che – in pochi giorni – i due convogliano a nozze, in segreto.
La felicità di non essere più sola per Rose muta presto in ansia quando arriva al ranch: Peter non è con lei perché si è trasferito per studiare Medicina all’università, George non sempre è presente, lei non ha più faccende da sbrigare come prima e l’ostilità del cognato è dichiarata. Phil è infastidito dall’idea che il matrimonio sia stato celebrato in segreto, per lui Rose ha fatto tutto per interesse economico, non le piace, e per questo si diverte a tormentarla.
Quando Peter per le vacanze arriverà al ranch vedrà sua madre cambiata, si ritroverà tra i mandriani che lo hanno disprezzato ma non si abbatterà, scoprirà anzi un segreto di cui diventerà complice. In questo quadro, l’odioso Phil da ostile decide di cambiare atteggiamento, disposto a fargli conoscere il suo mondo.

Jane Campion si prende tempo per narrare una storia di solitudini che s’incontrano e scontrano, intrecciandosi – letteralmente – in una corda che lega le esistenze dei personaggi in maniera romantica e fatale.
Come premesso, in Il Potere del Cane l’immagine del cowboy è castrata, disarmata, sporcata del letame di vacche e cavalli, una versione più realistica di questo mondo che è base per indagare nella psiche, nei sentimenti, che quasi mai vengono rivelati da primi piani. Il film preferisce parlare dell’intimo dei suoi protagonisti con campi lunghi, mettendo distanze importanti tra spettatore e personaggi, perché è proprio la scenografia a custodire dettagli e segreti, esposti così chiaramente da risultare invisibili.
Solitamente è inevitabile per un western avere lande assolate, ma Il Potere del Cane confida sulle ombre. Sono esse custodi d’immagini e verità, ombre favorite anche da una fotografia (Ari Wegner) particolarmente scura per dare un carattere decisamente crepuscolare della storia.
Se le immagini sono le più potenti narratrici, non sono da sottovalutare le suggestioni della colonna sonora (Jonny Greenwood), dove l’uso abbondante di strumenti a corda, incupisce o amplifica tensioni ed impliciti di personaggi in cerca di loro stessi, in lotta contro il mondo e la solitudine che vogliono prepotentemente contrastare. Per fare o farsi violenza dopotutto non è necessaria la polvere da sparo, Il Potere del Cane è prova di come con la parola e le proprie mani l’uomo persegua la violenza – talvolta sadica ma più spesso masochista. Tale violenza, tuttavia, è incapace di vincere sulla vita.
Phil Burbank (un Benedict Cumberbatch nella miglior forma) con la sua arroganza, è il personaggio che dall’incipit intimorisce, le sue violenze sono subdole, sono nelle parole e in talenti insospettabili, ma c’è altro nel suo personaggio. Phil ruba la scena, infastidendo e incuriosendo, punto focale della narrazione e cardine di un’ambiguità che in realtà è propria di tutto il cast. Nessuno è come appare, perciò non ci si deve lasciare influenzare troppo dalle parole; sono gesti, azioni ed espressioni a comunicare più di quanto ognuno abbia da dire su se stesso. Phil, Peter, Rose e George parlano ma non rivelano, appaiono e non sempre sono, incarnano la realtà rurale in cui vivono, sporca, poco generosa, ma intrinsecamente meravigliosa se si osserva con cura.

Narrativamente imperfetto ma potente, Il Potere del Cane è un vero atto d’amore all’arte cinematografica, non lo elargisce, ma lo dimostra. Jane Campion è partita da un romanzo dove la parola comanda e ha trasferito questo potere all’immagine, dissacrando anche “La Parola” del salmo a cui fa riferimento il titolo: “Ma tu, Signore, non allontanarti, / tu che sei la mia forza, affrettati a soccorrermi. / Libera la mia vita dalla spada, / e salva l’unica vita mia dall’assalto del cane”. La speranza nel Verbo è debole, è una fragilità, una consolazione che non può esser concessa a chi scappa da se stesso per rifuggire nelle illusioni.
Se in sé c’è l’influenza di western contemporanei (The Rider, I segreti di Brokeback Mountain, I fratelli Sisters, I segreti di Wind River), Campion non ignora il passato; per esempio il suo modo di narrare sente le influenze di opere come La trilogia del dollaro di Sergio Leone, ma c’è molta autorialità, un’energia che dona nuova linfa al genere.
Come per il fantasy, il western è ormai usato come fosse un mondo a parte. Delimitato da leggi interne, con gli elementi diegetici di una messa in scena lontana dalla nostra realtà, il western racconta il presente. Così fa Il Potere del Cane analizzando i suoi attori, ponendosi in prospettive diverse per osservare la vita degli uomini e criticarla, con un’elegante ferocia, adeguata agli ambienti selvaggi del old west.