“Ciao mamma ciao papà
Sono tornato per sempre
Ho finito di scherzare
Di drogarmi di frequentare brutta gente
Sono qui per restare
Per mangiare con voi
Per chiedervi i soldi del cinema
Per essere svegliato ogni mattina
Perché voi mi compriate i vestiti che volete
Con le camice stirate
Le camice!
Voglio la mi stanzetta
E farmi degli amichetti nuovi
E venire al mare con voi
Ma solo se son buono!”
Andrea Pazienza

La stanza di Nic è piena di poster di gruppi musicali e grandi artisti intramontabili, come i Nirvana o David Bowie. Ci sono disegni appesi sui muri, quaderni e libri sul tavolo, un computer, penne sparse qui e lì. È la stanza di un ragazzo brillante, amante della letteratura, della buona musica, della scrittura e del surf, ammesso a ben sei college. Ma è anche la stanza di un ragazzo che è caduto nell’oblio della dipendenza da droghe, ultima fra tutte la crystal meth, e che non è più lo stesso: paranoia, rabbia, episodi maniaco-depressivi. È nel buio dell’abuso delle sostanze stupefacenti che Nic, il beautiful boy, si è perso. E l’unica cosa che vuole suo padre, con cui ha sempre avuto un rapporto più stretto e forte di qualunque altra persona, è salvarlo.

Tratto dalle biografie di David (Beautiful Boy) e Nic Sheff (Tweak), l’ultima opera diretta dal belga Felix Van Groeningen è un doloroso ciclo di ricadute e temporanee salvezze, che si ripetono nel modo più emotivamente straziante possibile. Sono frammenti di un rapporto padre-figlio tagliuzzati e mescolati – come se David fosse alla continua ricerca di uno sbaglio preciso in un momento preciso – che nell’ottica del film aumentano l’autenticità e immergono lo spettatore nella mente di un genitore affranto, arrabbiato, ma non intenzionato ad arrendersi. Evitando accuratamente di cadere nei soliti cliché e nella retorica spicciola di alcuni drug movies, Van Groeningen racconta la dipendenza di Nic, che già dalla tenera età di 18 anni deve raccogliere i cocci della propria esistenza per poi perderli di nuovo, ma soprattutto del dolore di David, una sofferenza che traspare perfettamente dai silenzi, dalle ricerche, dagli sguardi di un padre-amico.

Se in Last Flag Flying Steve Carell aveva già dato ulteriore prova di un incredibile talento drammatico, interpretando un padre che aveva perso il figlio in guerra, qui si conferma come uno degli attori più sorprendenti degli ultimi anni. Il suo David Sheff è sincero, toccante, autentico a tal punto da consumare il cuore e commuovere genuinamente il pubblico, senza maschere forzate. Ma Carell non è il solo a offrire una performance stellare: Timothée Chalamet è un attore sbalorditivo, con un potenziale a dir poco immenso, e Beautiful Boy ne è una perfetta dimostrazione. Nic promette di aver chiuso con le droghe ma chiede soldi, rifiuta l’aiuto degli altri e poi scappa e non si fa trovare per giorni, settimane, mesi. Poi torna e tutto ricomincia da capo. Tra i tic dovuti alle droghe e le lacrime di un ragazzo tormentato, l’attore premiato ed elogiato in numerose occasioni per Chiamami Col Tuo Nome promette di far parlare di sé anche stavolta. Sorretto da una colonna sonora semplicemente fenomenale, tra John Zorn, Pan Sonic, Neil Young e i Sigur Ros, il film conferma sia Chalamet che Carell come papabili per le nomination ai prossimi Oscar.

Beautiful Boy è a tutti gli effetti uno dei film più belli di questa Festa del Cinema di Roma, e sicuramente uno dei lungometraggi più toccanti, intensi e realistici sul delicato tema della tossicodipendenza. Devastante e violento, ma allo stesso tempo puro e dolce, come solo l’amore di un padre può essere. E David ama suo figlio – più di tutto.