Climax. Questo il titolo dell’ultimo film di Gaspar Noé, un titolo che descrive alla perfezione il percorso che lo spettatore vive al momento della visione. Con questo termine si indica il passaggio graduale da un concetto all’altro, via via sempre più intenso, esattamente come le sequenze. Un film che non ha mezze misure, o decidi di ballare e lasciarti trasportare o il mal di testa ti impedirà di godere a pieno dell’opera, ma se decidi di ballare non esisterà  più nulla che possa impedirti di vivere completamente quelle emozioni: tormento, estasi e frenesia diventano sentimenti condivisi sia dietro lo schermo che davanti, e il ballo a cui si prende parte sarà il migliore di sempre.

Il film si apre con la fine, con una distesa di neve e una ragazza che si trascina in quest’ultima per poi distendersi nel dolore e nel sangue, un sangue rosso vivido che spicca nel bianco che la circonda e che sembra volerla soffocare, simbolo di lutto e morte, come nella cultura orientale. Non ci resta che scoprire di cosa si tratti, scoprire chi è la ragazza circondata dalla “morte”. A risponderci è il regista che ci presenta attraverso un televisore vecchio stampo, affiancato a sinistra dai libri e a destra dai film che l’autore ha usato come ispirazione per la sua opera, i personaggi. Qui la crew di ballo si racconta, scopriamo i ballerini in quanto persone dedite al loro mondo, ragazzi puliti e vogliosi di farcela. Dopo aver presentato al pubblico i protagonisti, rivediamo quest’ultimi in una scuola di danza, isolati nella neve a provare le coreografie per il tour. Proprio qui si assiste al primo piano sequenza, accompagnato dal remix di “Supernature“ di Cerrone, che con la sua ripetitività induce lo spettatore ad immergersi completamente nella danza, danza in cui i corpi dei ballerini diventano arte pura fino a perdere il loro ruolo fondamentale, quello di essere corpo. Nel piano sequenza successivo, infatti, vediamo delle riprese dall’alto in cui la trasformazione in mera forma astratta diventa effettiva, in cui la massa corporea dei ballerini sembra voler diventare una sinusoide musicale. Una volta finita la coreografia la crew si ritrova a festeggiare con la sangria alla quale qualcuno ha aggiunto della droga. Solo in pochi decidono di non bere ma ciò nonostante sarà per loro impossibile rimanere fuori dal vortice devastante in cui si ritrovano, come accadrà con Lou, interpretata da Souheila Yacoub. Tutti i personaggi, o quasi, sono ballerini e solo in pochi sono attori professionisti, prima tra tutti Sofia Boutella che qui interpreta Selva in una prova impressionante che prende spunto dall’interpretazione di Isabelle Adjani in “Possession”. Un film corale in cui ogni personaggio ha la sua importanza, esattamente come i suoi mostri che la droga tira fuori in tutto e per tutto. Assistiamo ad una vera e propria staffetta tra i personaggi che si passano il testimone volta per volta senza mai fermarsi, in delle sequenze lunghissime.

Un’opera che sembra non avere copione ma che allo stesso tempo non ne ha bisogno, un’opera in cui il regista riesce a diventare parte integrante del film servendosi di colori e di piani sequenza per descrivere, o meglio farti vivere, un trip da allucinogeno.