È il secondo lungometraggio della regista Audrey Diwan a vincere il Leone d’Oro al miglior film alla 78esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Il film, dal nome “L’évènement” o “La Scelta di Anne” (precedentemente noto come “12 settimane” nella versione italiana), riprende la storia autobiografica della scrittrice Annie Ernaux pubblicata nel 2000 con il nome “L’evento”. La storia racconta di una Francia distante da quella odierna, una Francia dove a regnare è una morale cristiana ancora troppo diffusa.

Siamo negli anni ’60, nello specifico nel ’63, e l’aborto è ancora illegale e punibile con la galera. Le donne non possono ancora scegliere per sé e per il proprio corpo, non sono libere di parlare di aborto e il sesso è un tabù che è meglio lasciare dov’è. In questa realtà si fa largo Anne, studentessa modello rimasta incinta e decisa ad abortire, anche a costo della propria vita. Anne crede in sé stessa e pretende di poter arrivare a quel futuro degno di nota per cui si è così tanto sacrificata. “L’evento” però, le fa sbattere la testa contro la realtà, contro un mondo pronto a metterla alla gogna per il suo errore, a farla vergognare di essere rimasta “fregata” bruciando le tappe: le amiche la allontanano lasciandola ad affrontare il tutto da sola, il suo amico più caro vede nella sua gravidanza la possibilità di avviare una relazione sessuale senza rischi di circostanza, persino i dottori le mettono i bastoni tra le ruote prescrivendogli farmaci antiaborto, che rafforzano il feto rendendo i tentativi di Anne vani, e consigliandole di “accettare la gravidanza” più che interromperla. La ragazza si ritrova così ad affrontare un percorso devastante senza l’aiuto di nessuno, nel terrore di essere arrestata o di poter perdere la vita per poter continuare a studiare.

Dodici settimane: questo il periodo di tempo che il film percorre, periodo che lo spettatore vive con la protagonista, interpretata magistralmente da Anamaria Vartolomei, forse maggior punto di forza dell’intero film. Ed è proprio su di lei che rimaniamo fissi per tutto il periodo della narrazione. La camera non la lascia mai, scelta che permette allo spettatore di avvicinarsi ad Anne in questo viaggio tremendo. La ragazza viene quasi inseguita dalla regista Audrey Diwan, che non le lascia spazio per respirare: la vediamo ballare, avere avventure sessuali, rispondere alle domande di un professore; neanche durante il suo violento tentativo di aborto con un ferro da maglia ci stacchiamo da lei e dal suo volto. È proprio questa scelta che permette allo spettatore di entrare in empatia con la protagonista e di soffrire per lei e con lei. Anne non può scegliere cosa è giusto o meno per sé stessa, la società gli richiede di pagare pegno per le sue scelte procedendo verso un progressivo allontanamento della ragazza che noi vediamo sempre più divorata da demoni interni ed esterni. Questo inesorabile isolamento di Anne viene replicato dalla regia: la camera scava nei pensieri della protagonista escludendo tutto ciò che la circonda, quasi ad ingabbiarla.

L’Évènement riesce a mostrare una realtà lontana da quella odierna e allo stesso tempo fin troppo vicina (si guardi alla recente legge del Texas che vieta l’aborto dopo sei settimane di gravidanza), ma lo fa senza risparmiare nulla allo spettatore, messo davanti ad una crudezza spaventosa. La decisione di mostrare le tecniche usate per abortire, il rischio a cui ci si sottoponeva per poter avere la possibilità di scegliere, sperando che tutto apparisse ai dottori come un “aborto spontaneo”, unico modo per non essere arrestate, viene reso senza fronzoli e senza paura. Il tutto viene fatto in un atmosfera di silenzio. I pochi dialoghi, infatti, vengono quasi sussurrati – o per lo meno questa è la sensazione che si ha, quasi ad indicare la necessità di mantenere il grande segreto della protagonista, segreto che la potrebbe condurre all’arresto o, peggio ancora, alla morte.