Nella storia del cinema fantascientifico, uno dei temi più avvincenti e stuzzicanti è sempre stato quello dei ricordi. In passato ci sono stati molti film che, sfruttando questo topos, sono riusciti a stuzzicare e colpire la mente dello spettatore: basti pensare a Eternal Sunshine of the Spotless Mind (2004) di Michael Gondry, in cui era possibile contattare la clinica Lacuna Inc. per rimuovere specifici ricordi dal proprio cervello, o anche il più recente Blade Runner 2049 (2017), in cui il protagonista replicante K vive nel dubbio della genuina falsità della propria memoria.

Sempre del 2017 (ma tratto da una pièce teatrale di Jordan Harrison del 2014, finalista al Premio Pulitzer), Marjorie Prime si inserisce a pieno titolo nella lista di film di genere sci-fi dedicati a questo vastissimo tema, analizzando un futuro in cui il ricordo diventa ologramma, e l’ologramma persona. I prime sono proprio questo: riproduzioni artificiali olografiche di persone decedute, come Walter (Jon Hamm), che ora, grazie al prodigioso avanzamento tecnologico, può ancora essere lì, seduto sul divano di un’accogliente casa sulla spiaggia nel 2050 circa, a parlare con Marjorie (Lois Smith) dei bei tempi andati e dei ricordi di una vita insieme, a volte perfetta, a volte leggermente modificata da quest’ultima per renderla più romantica. D’altronde, il prime ricorda solo quello che gli viene detto dagli altri. E gli altri sono la figlia e il cognato di Marjorie, Tess e Jon: mentre la prima (una profonda e sfaccettata Geena Davis) è leggermente seccata e scettica riguardo la presenza di un qualcosa che si spaccia per suo padre, il secondo (un carismatico Tim Robbins) è più comprensivo e aperto a raccontare a Walter prime la vita di Walter.

Questo meccanismo teatrale diretto da Michael Almereyda (Experimenter) permette alla storia di trattare una vastità considerevole di temi: dal ricordo si passa alla memoria, con l’Alzheimer che affligge un’ottima Lois Smith che vuole ricordare ancora, a costo di idealizzare ogni singolo aspetto di essi. Dalla perdita di memoria, è ancora più toccante passare alla perdita delle persone care, e all’immensa difficoltà di lasciare andare qualcuno che hai amato per tutta la vita. Proprio per questo esistono i prime, esseri digitali fatti di pixel destinati a ricordare per sempre. Da una parte c’è il futuro perfetto, statuario e ideale, e dall’altro il passato imperfetto e morente. Per quanti ologrammi possano esistere, il senso di solitudine è struggente e intenso, ed è proprio per questo che il film ha un’intensità emotiva che pochi, pochissimi film hanno saputo dare in questo 2017. La colonna sonora composta da Mica Levi (Under The Skin, Jackie) è un ottimo riassunto di questo film: melodie che mescolano meraviglia e nostalgia, semplicità e complessità, classico e moderno, passato e futuro.

Per mantenere vivi i ricordi di Marjorie, un ologramma ricorderà per lei, in eterno. Col passare degli anni, i ricordi saranno sempre lì, custoditi preziosamente dai prime, protagonisti di un futuro che alcuni potrebbero considerare inquietante, ma forse è l’esatto opposto. I prime digitali impareranno dai loro simili, acquisendo nuove informazioni su quello che erano nelle loro vite precedenti: gli analogici, meravigliosi e imperfetti esseri umani.