“Se sanità e follia esistono, come fare a riconoscerle?”, questa è la domanda su cui Steven Soderbergh gioca nel suo film “Unsane”, una domanda che racchiude al suo interno una realtà, quella degli istituti psichiatrici, che tutti sperano di non dover mai provare. Cosa permette di definire una persona sana? E una folle? Il regista, in questo film, lo chiede direttamente allo spettatore, sfidandolo a capire in quale delle due “categorie” rientri la protagonista Sawyer Valentini, interpretata da Claire Foy, sempre che queste due categorie esistano effettivamente.
Vediamo Sawyer fin dall’inizio combattere contro un trauma che non sembra lasciarle la possibilità di vivere una vita come si deve, questo trauma ha un nome e, soprattutto, un volto: quello del suo stalker. Aver cambiato città e lavoro non sembra aver portato in Sawyer la pace di cui aveva tanto bisogno, il suo passato continua a perseguitarla e la costringe a chiedere aiuto. L’Highland Creek Behavioural Center sembra essere il posto giusto, almeno inizialmente, per riuscire ad affrontare i suoi demoni. Sawyer, in un incontro con una terapista, racconta tutto ciò che la perseguita credendo si tratti del primo passo per la libertà ma le cose non sono esattamente così. Quello non è il primo passo per la libertà ma, al contrario, un passo verso la degenza forzata di 24 ore che si allungherà per molto più tempo. Nessuno sembra riconoscere la sanità della ragazza, lo stesso spettatore ne dubita nel momento in cui Sawyer inizia a vedere all’interno dell’ospedale psichiatrico il volto, a sentire la voce e a vedere la forma del corpo del suo molestatore, interpretato da Joshua Leonard. Ma qual è la verità? Sawyer è davvero uscita di testa o è tutto reale? Il modo in cui il regista riesce a collocare e a gestire i punti di svolta fa sì che questa domanda continui a martellare lo spettatore fino alla fine, senza riuscire a darle una risposta effettiva.
L’interpretazione della protagonista riesce a muovere lo spettatore alla completa identificazione con quest’ultima, ma non è l’unica cosa che lavora in questo senso. Le riprese sono fatte interamente con un IPhone 7 Plus e questo, nonostante non sia una tecnica del tutto nuova, contribuisce a creare un linguaggio cinematografico molto più vicino al web, ai social e alla televisione, quasi fosse un reality show. La regia si libera, infatti, di tutto ciò che la blocca e così riesce a far avvicinare lo spettatore ai personaggi e alla storia oltre a rendere possibile la realizzazione di inquadrature particolari, quasi come se il telefono fosse appoggiato su un tavolo, o su un qualsiasi altro oggetto, rendendo ancora più interessante il tutto. Un thriller che riesce a trattare un tema delicato come quello dello stalking in modo nuovo, non concentrandosi su un singolo evento al quale la protagonista deve sopravvivere ma trattando il contesto che circonda chi ne è vittima. Vediamo qui cosa succede dopo il trauma e, soprattutto, come le persone intorno alla persona traumatizzata si comportano.