753 a.C.. I fratelli Romolo e Remo, in seguito ad una esondazione del fiume Tevere, perdono terre e bestiame. Catturati da alcuni soldati di Alba Longa, riescono a fuggire insieme ad altri prigionieri. Inizia così il lungo viaggio che porterà uno dei due a fondare la più grande città mai esistita nel mondo antico: Roma.

Matteo Rovere decide di raccontare un periodo storico poco trattato fino ad ora dal mondo del cinema. Nella sua versione la leggenda diviene Storia e ogni dettaglio contribuisce a dare veridicità al racconto. A cominciare dal lessico, un protolatino arcaico e complesso, lontano dalla limpidezza e dall’eleganza formale del latino della grande letteratura, frutto di secoli di evoluzione della civiltà romana. Ma anche il mito fondativo viene riscritto completamente: Rovere si allontana dalla tradizione e trasforma i due fratelli in due fuggitivi ribelli, che nulla più hanno dei due eroi tramandati dalle fonti antiche. Romolo (Alessio Lapice) e Remo (Alessandro Borghi) non hanno paura di sporcare la loro aura di semidei e si trasformano in carne viva e pulsante, apparendo spesso in scena feriti, emaciati e coperti di fango.

Le due figure divengono due archetipi e la loro psicologia viene delineata in maniera  precisa e in questa versione filmica diviene chiaro perché sia Romolo colui che diverrà re. Nel corso della narrazione è Remo ad essere presentato come il fratello forte e sicuro di sé, colui che ha la determinazione e la spavalderia necessarie a divenire un capo. Si impone con la propria forza bruta e animalesca e si allontana dai principi morali e dai vincoli imposti dagli dei e dalla religione per inseguire un’utopistica (e forse anacronistica) affermazione di sé. Diviene un eroe degno delle grandi tragedie greche e latine e, proprio come loro, crollerà a causa della sua superbia. Romolo, al contrario, è sottomesso e fragile. Crede e teme gli dei, impone a Remo di rapire la vestale di Alba Longa per portare con loro il fuoco sacro e decide di sacrificarsi nel momento in cui viene predetto il fratricidio come condizione necessaria all’affermazione di uno dei due come re. Ma possiede ciò che il fratello non ha e che è fondamentale per regnare: la pietas.

Roma nasce da un assassinio ma può lavare via la sua colpa grazie alla devozione e al senso del sacro del proprio re. Alessandro Borghi (Non essere cattivo, Suburra, Sulla Mia Pelle) riesce perfettamente a calarsi nei panni di un personaggio complesso e sfaccettato e regge da protagonista gran parte della sceneggiatura. Confermando il suo grande talento e la sua posizione di spicco nel panorama italiano, confeziona un’interpretazione di grande spessore, conferendo a Remo il giusto spazio e la giusta importanza all’interno del mito e della Storia. La sua è una performance dolente e allo stesso tempo feroce, carica e controllata e i suoi monologhi risultano fra quelli più interessanti della pellicola. Alessio Lapice, invece, diviene una sorta di comprimario e imprime al suo Romolo tutta la sofferenza e il senso di colpa ma anche di devozione nei confronti del fratello, riuscendo a ritagliarsi spazio solamente nel finale.

Ma la cifra stilistica del film risiede nel modo in cui la pellicola viene girata. Matteo Rovere opta per una rappresentazione brutale e realistica in cui nulla viene risparmiato allo spettatore. Il film è intriso di sangue e violenza, come la storia che racconta e il mondo che ci troviamo di fronte è un mondo arcaico e crudele. Una violenza che a volte può sembrare eccessiva ma che risulta funzionale al racconto e diviene, a volte, l’aspetto fondativo della pellicola. La storia di Roma e la sua fondazione nascono, infatti, da un atto violento e sovversivo dell’ordine naturale e morale. Contribuisce a creare questa atmosfera incerta e ancestrale la fotografia di Daniele Ciprì: il film è quasi sempre girato in penombra, con giochi di luce e chiaroscuri che confondono e fondono natura e uomo. Poche e incisive sono le scene girate in piena luce e ad illuminare l’ambiente spesso è il fuoco, elemento chiave della storia e filo conduttore del percorso che porterà Remo a regnare.

Un film che certamente si distingue nel panorama cinematografico italiano, che osa e si pone al di fuori di regole e conformismi e che getta una nuova luce su un periodo storico avvolto nel mito. E che guarda alle grandi produzioni americane non sfigurando al loro confronto (non a caso, il film è rientrato nella cinquina finale dei candidati italiani per l’Oscar al Miglior Film Straniero, anche se alla fine verrà scelto Il traditore di Marco Bellocchio).