Jordan Peele dopo l’oscar alla sceneggiatura di Get Out – Scappa con Noi si ripresenta al suo pubblico in forma smagliante, più visionario, più brillante e più politico con un horror innovativo nonostante scavi in fondo al cinema del brivido, raggiungendo George A. Romero. Il feticcio della paura non sono però zombie affamati di cervelli né creature uscite da mondi fantastici; niente poteri magici o consistenze trasparenti, sono più inquietanti perché sono il riflesso che vediamo allo specchio in carne ed ossa, sono Noi.

1986. La piccola Adelaide Thomas (la giovanissima e già iconica Madison Curry) è a Santa Cruz in vacanza, è il suo compleanno e sta festeggiando con la famiglia in un Luna Park. Allontanandosi da un padre distratto (Yahya Abdul-Mateen II) verso la spiaggia, entra in una casa degli specchi dove si perde e tra i suoi riflessi ne vede uno che non è tale: c’è un’altra bambina, identica a lei, il cui incontro cambierà la sua vita per sempre.
A trent’anni dalla quella terribile notte, Adelaide (Lupita Nyong’o) torna per una vacanza a Santa Cruz con suo marito (Winston Duke) e i figli Zora (Shahadi Wright Joseph) e Jason (Evan Alex), nella casa ereditata dai genitori. Ha paura della spiaggia, cerca di evitarla, ma è trascinata dalla famiglia e non riesce a godersi l’oceano e la compagnia degli amici (Elisabeth Moss e Tim Heidecker). A sera confessa al marito che ha una brutta sensazione, racconta quel terribile episodio del passato e non può fare a meno di pensare che non sono al sicuro lì.
Poco dopo una famiglia viene avvistata davanti la loro proprietà, sono fermi come in attesa, sembrano innocui, ma quando avanzano verso la casa la loro ostilità diventa chiara. Un incontro ravvicinato li svela e riporta alla luce l’atavica paura di Adelaide: l’altra Adelaide è arrivata a prenderla con una famiglia identica alla sua.

Questi se stessi come sagomati cartonati, nel buio diventano minaccia inquietante dal momento che appaiono. Scaldano l’atmosfera, la tensione sale e quando – come spettri – infestano la casa, l’incontro occhio ad occhio ha ormai superato spettrali richiami. Vestiti con tute arancioni, forbici in mano, espressioni inquietanti solleticano l’idea di uno slasher movie, poi si gioca sulla psicologia, con voci aliene quei Noi instillano il dubbio e si rendono concreti: sono forse Doppelgänger, gemelli maligni il cui incontro è presagio di morte?
Peele mescola le carte, confonde, aggiunge azione, cavalca la tensione, facendo di Adelaide (e dello spettatore) un’Alice di un mondo che meraviglie ne ha poche.
Citazioni tante, dalla letteratura al cinema, ma senza risultare cose “già viste”; vengono usati i canoni per invertirli, simboli per fare critica. La colonna sonora di voci che cantano lingue sconosciute striscia nell’orecchio come presagio angosciante, evoca qualcosa di primordiale, ma onnipresente è la sottile ironia che ogni tanto si manifesta nei dialoghi, talvolta in scene crude accompagnate da canzoni dei Beach Boys e hits R’n’B.
Gli eventi che si susseguono alimentano il mistero, danno corpo a questo grottesco racconto dove ogni certezza è cacciata via, se non una: ci sono dei loro e dei noi, fatte le fazioni lo scontro è inevitabile, la convivenza impossibile.

Con Get Out – che ha toccato subito la terra degli Academy Awards – il carattere e il potenziale di Jordan Peele non poteva che essere in ascesa e Noi è la conferma di un salto di qualità, mantenendo comunque la cifra stilistica fatta di simboli, black humor (in ogni senso) e satira. L’horror è un’etichetta che convenzionalmente accostiamo, di fatto dire che Noi è un horror è semplificarlo, banalizzando una scrittura stratificata che vuole giocare su molteplici piani, dove il surreale è usato come metafora per una riflessione socio-politica.
In Noi convivono Lovecraft e Orwell, c’è Hitchcock e c’è Carpenter, quanto le fiabe che si armonizzano a scenari e humor de I Simpson e South Park. Non è un minestrone e non c’è arroganza, semplicemente cultura levigata e revisionata in chiave personale. Ciò che rende ancora più lodevole l’operato di Peele è il riuscire – in una vicenda inevitabilmente drammatica – a usare l’ironia, alleggerire la tensione, non insensibile ma empatico verso il suo pubblico, quasi volesse aiutarlo a esorcizzare la crudezza degli eventi. In una certa ottica, se si riescono a prendere le giuste distanze, Noi risulta addirittura esilarante.

Regia e sceneggiatura meritano lodi, quanto la crew, tra cui degni di nota sono Mike Gioulakis (Glass; Split; It Follows), per la sua fotografia elegante e suggestiva; Florencia Martin (Twin Peaks: il ritorno) e Kym Barrett (Matrix; From Hell; Cloud Atlas), per scenografie e costumi che hanno reso la messa in scena memorabile e simbolica. Tuttavia un ottimo soggetto, inquadrature hitchcockiane, una narrazione tarantineggiante non bastano, non possono nulla senza interpreti che segnino lo schermo.
Dal 1896 la piccola Adelaide incarnata da Madison Curry è ipnotica, inquietante, controllata e sicuramente personaggio simbolo che – quasi mostruosamente – rimarrà impressa nella memoria di Noi. Gli altri giovanissimi della pellicola, Evan Alex e Shahadi Wright Joseph, sono anche loro talentuosi, naturali, dall’espressività convincente, volti di personaggi che rimangono memorabili, più del comico padre interpretato da Winston Duke (M’Baku nel Marvel Cinematic Universe).
Regina della pellicola, affascinante, carismatica, forte è senza dubbio il Premio Oscar Lupita Nyong’o. Da 12 Anni Schiavo, passando dalla nuova trilogia di Star Wars al recente Little Monsters, l’attrice messicano-kenyota è entrata nell’affetto del pubblico con personaggi e interpretazioni di tutto rispetto, ma in Noi fa qualcosa che quasi mai (o forse proprio mai) è stato concesso alle donne nei film horror. E ci riesce paurosamente bene.
I ruoli di sdoppiamento li ricordiamo con un Jack Nicholson o un più recente James McAvoy; Nyong’o riveste un ruolo po’ diverso da chi interpretava personaggi con disturbi dissociativi ma dà prova di essere incredibilmente camaleontica, giocando di ambiguità, di inquietudini, vocalizzi unici e una resa psicologica profonda per Adelaide e Red, il suo doppio. Dalle pagine più autorevoli della rivista New York, la sua prova attoriale è stata considerata inumana, quasi aliena, parole forse eccessivamente entusiastiche ma che inquadrano il talento portato in scena in quella che è – a mani basse – la miglior performance di Lupita Nyong’o.

Se ci sono criticità da esporre su Noi, queste sono contigue al post-filmico e pubblicitario, nelle dichiarazioni di Jordan Peele, nei tentativo di giustificare e far emergere il carattere politico di ogni scena, trasformando quasi il suo operato in una vendetta filmica con reazioni passivo-aggressive, oscurandone la sua stessa poetica. Considerando il suo genio e il valore nel dimostrare l’orgoglio afro-americano, può essere deleterio ostentare un carattere ossessivamente polemico nella rivalsa.
Se avevamo dubbi, possiamo accantonarli: l’intento di Noi non è chiaramente la paura, anche se può terrorizzare. L’intento di Noi è far riflettere. E magari diffidare di ridenti realtà come suggerite dalla pubblicità di Hands Across America.