Strano essere, questo The Jesus Rolls. Lo è sempre stato, a partire dalla sua genesi: le primissime voci di uno spinoff de Il Grande Lebowski risalgono addirittura al 2002, quando John Turturro espresse il desiderio di rivedere sul grande schermo le gesta dello stravagante giocatore di bowling. I Fratelli Coen, che vantavano già una duratura collaborazione con Turturro (protagonista di quel Barton Fink che si portò a casa ben tre Palme D’Oro al Festival di Cannes ‘91) non erano molto inclini né all’idea di un secondo capitolo della storia del “dude”, né tantomeno di un suo spinoff. Ciononostante, dopo anni di lavorazione, anticipazioni, pause, rimandi e cambi di nome, ecco arrivare in anteprima nei cinema nazionali The Jesus Rolls, sequel spirituale della pietra miliare dei Coen e al tempo stesso remake di un film francese del 1974, I Santissimi, diretto da Bertrand Blier e con Gerard Depardieu.

A questo punto, è doveroso aggiungere due piccoli, ma cruciali dettagli. In primo luogo il titolo di questo lungometraggio è sempre stato, fino a qualche tempo fa, Going Places. Secondariamente, a creare Jesus Quintana fu proprio Turturro, in teatro, anni prima di Lebowski. Quindi è necessario cancellare dalla mente tutto (o quasi) quello che sappiamo sul Quintana coeniano. Ma detto ciò… chi è Jesus? È sempre un criminale con cui non si può scherzare? È sempre un uomo pronto a infilare una pistola nell’ano di qualcuno e premere il grilletto finché non fa click? Beh, sì e no. Perché è anche un ex galeotto appena uscito di prigione e pronto a vagare senza meta assieme al suo fidato amico Petey (Bobby Cannavale), che lo segue come un’ombra.

Quando vedono una bellissima auto parcheggiata di fronte al salone del mitico parrucchiere Paul Dominick (Jon Hamm), non resistono alla tentazione di farci un innocuo giretto. Ciò porterà al confronto con Paul, in cui una pallottola perforerà la coscia di Petey e Jesus rivedrà la vecchia amica Marie (Audrey Tautou). I tre scapperanno insieme, e da qui inizierà una fuga continua senza direzioni, una corsa sgangherata tra furti, sesso libero e personaggi eccentrici.

In quasi due ore, i tre fanno cose e vedono gente. Tanta gente: la madre di Jesus (Sônia Braga), prostituta ipertruccata; il meccanico ex capellone (J. B. Smoove) che aiuta Petey a creare una macchina mortale come vendetta per Paul; una donna di colore intenta ad allattare il proprio figlio; un poliziotto che osserva sospettoso Jesus e così via. Può sembrare che queste possano essere travi che sorreggono un’impostazione comica del film, ma non è così: i dialoghi sono spenti, ripetitivi, scialbi e non ispirati. Viene da pensare che The Jesus Rolls stia fallendo come commedia on the road perché troppo occupata a gironzolare per l’America senza uno scopo ben preciso. Ma è qui che l’inganno viene alla luce: con l’entrata in scena di Jean (la sempre meravigliosa Susan Sarandon), la musica cambia. Non è più un road movie scatenato e frenetico, ma un film sonoramente drammatico di uomini e donne in prigione. E la prigione non è solo quella fisica e prettamente carceraria, ma ma anche quella della vita fuori dalle sbarre, delle proprie emozioni, della solitudine, dei sentimenti contrastanti e del sesso. Anzi, soprattutto di quest’ultimo. Non che la cosa ci sorprenda più di tanto: il cinema di Turturro ha sempre proposto il concetto di sesso come libertà, e forse proprio in The Jesus Rolls questo pensiero giunge alla sua sublimazione. Tuttavia il regista-attore indulge un po’ troppo sulle scene di rapporti sessuali, al punto da risultare gratuito, non necessario, quasi volgare. È proprio questa la pecca forse più grave di un film che, sotto un’altra veste e soprattutto senza quell’alone drughesco che volenti o nolenti aleggia tutt’attorno, avrebbe destato reazioni ben diverse.

L’idea degli ex galeotti che rotolano verso il nulla vede in The Jesus Rolls un manifesto di indubbio spessore, macchiato però da un generale senso di volgarità e caos nella lavorazione dell’opera. Resta da scoprire quale sarà la reazione degli americani, notoriamente inclini al bigottismo, sempre sperando che il film non rimanga sul ciglio della strada, col pollice alzato, in attesa di un passaggio.