Dopo il 2016 il mondo finanziario non sarebbe più stato lo stesso. La pubblicazione da parte di John Doe (nome fittizio usato in America per indicare una persona anonima) di più di due terabyte di dati riguardanti l’attività di oltre 200.000 società offshore create e gestite dallo studio panamense Mossack Fonseca rappresentò un duro attacco all’evasione fiscale e ancora oggi, a distanza di tre anni, la vicenda può dirsi tutto fuorché conclusa.
Dopo una breve presentazione sulla nascita del denaro da parte di Mossack (Gary Oldman) e Fonseca (Antonio Banderas), avvocati co-fondatori dell’omonima società, Panama Papers ci presenta Ellen Martin (Meryl Streep), una donna appartenente alla media borghesia che insieme al marito partecipa ad una gita in barca sul lago George. All’improvviso un’onda anomala travolge il traghetto provocando la morte di molte persone, incluso il signor Martin. Ellen, rimasta vedova, cerca di ottenere la liquidazione dell’assicurazione in modo da poter comprare un appartamento dalle cui vetrate può vedere “l’angolo” in cui molti anni prima incontrò il marito per la prima volta, ma rimane vittima di una frode assicurativa. Inizia dunque un’indagine per sbrogliare una matassa intrecciata da diverse società, finché la sua ricerca non la porterà dove tutto aveva avuto inizio: Panama.
Steven Soderbergh ritorna alla regia e realizza un lungometraggio che ha molto da dire, ma poco tempo per mostrare tutte le contraddizioni e le ombre del mondo finanziario, soprattutto su un tema tanto delicato quanto il confine tra elusione ed evasione fiscale. La percezione infatti è che spesso lo spettatore, in balia di dubbi sul significato di termini economici settoriali poco comuni nella quotidianità, ma spesso menzionati nella pellicola, sia quasi lasciato indietro da un ritmo narrativo che, durante l’ora e trentasei minuti di proiezione, concede poco tempo per riflettere.
Pur fornendo alcune definizioni e strizzando l’occhio al documentario, il film non entra troppo nello specifico e preferisce rivolgere lo sguardo a diverse storie che, insieme a quella di Ellen, sono legate indissolubilmente allo scandalo dei Panama Papers. La mancanza di spiegazioni esaurienti sul mondo degli affari se, come anticipato, può provocare nella maggior parte pubblico un iniziale smarrimento, dopo la visione della pellicola induce a riflettere e a cercare di comprendere meglio i temi trattati. Soderbergh, basandosi sul libro Secrecy World del premio Pulitzer Jake Bernstein, realizza un’opera complessa, che non lascia indifferenti e spinge a chiedersi: “Il denaro può davvero comprare qualsiasi cosa?”. Certo, la soglia del mondo dei paradisi fiscali è varcata da chi detiene ingenti somme, ma ognuno di noi attribuisce alle cose un valore o, per essere più pragmatici, un “prezzo”. Emerge qui l’emblematicità di una delle storie narrate, quella del ricco padre di famiglia innamorato della collega di università della figlia: sorpresa da quest’ultima, nel disperato tentativo di salvare il suo matrimonio e tenere la moglie all’oscuro del tradimento, cerca di comprare il suo silenzio con delle azioni al portatore del valore di 20 milioni. Quando più tardi si scoprirà che tali azioni sommate non valgono che circa 200 dollari la giovane prenderà i fogli e li strapperà di fronte agli sguardi basiti dei presenti. Il suo gesto fa meditare perché in questo mondo frenetico dove diciamo che persino “il tempo è denaro” sembra che ogni cosa possa essere comprata al giusto prezzo.
Eppure come si fa a stabilire il prezzo della perdita di una persona cara o della consolazione di poter ogni giorno vedere il luogo del primo incontro con l’amore di una vita, come nel caso di Ellen, oppure del silenzio di una figlia profondamente delusa dal genitore? Ci sono valori come ad esempio la vita, l’amore, la fiducia, l’amicizia, che fuggono da qualsiasi stima, nondimeno per alcuni si può loro ascrivere un numero rappresentante il prezzo. Persino il tempo, che come diceva Seneca è il bene più prezioso perché non torna indietro, viene pesato sulla bilancia, quando dovrebbe essere “l’unica cosa in cui essere avari”. Esistono dunque cose senza prezzo, senza conversione in valuta. Quali? La risposta lungi dall’essere univoca, è unica per ognuno di noi.